A conclusione di una mostra di respiro nazionale conclusa da pochi giorni a Padova pubblichiamo un intervento, uno dei molti, sulla stessa.
Fonte: fotopadova.org.
“Questa è guerra”. 100 Anni di conflitti messi a fuoco dalla fotografia.
di Terry Peterle
A Padova, presso il Palazzo del Monte di Pietà, fino al 31 maggio 2015 è possibile vedere la mostra fotografica “Questa è guerra” a cura di Walter Guadagnini.
Una mostra che, con oltre 300 immagini disposte su 12 sezioni, ha l’intenzione di raccontare, attraverso la fotografia, la guerra a partire dalla fine dell’800 fino ai nostri giorni.
Nella prima sezione la presentazione di due progetti. Il primo di Broomberg & Chanarin – uno duo di artisti londinesi e il secondo di Paolo Ventura. Il messaggio è quello di dare visione al pubblico, fotografie delle prime guerre dell’Ottocento, che non siano solo testimonianza e racconto, ma anche propaganda e menzogna.
Unknown Photographer, The italian Magnis Freedom Fighters, 1944 Silver, gelatine print on glossy fibre paper Printed by December 1944 ©Daniel Blau Munich/ London
Le immagini presenti nelle due sale successive, dedicate alla Prima Guerra Mondiale, sono per lo più immagini di archivio provenienti dal Museo della Terza Armata di Padova, dai Musei Civici di Padova e da altri archivi italiani. Una fotografia documentaristica tra cui materiale proveniente dall’Archivio della principessa Anna Maria Broghese de Ferrari, che come membro della Croce Rossa, armata di una Kodak, ha documentato diversi momenti dei soldati nella loro quotidianità. Molto piacevole è, in queste sale, il poter vedere alcune stereofotografie, che oltre a trasmettere una sensazione di tridimensionalità, danno modo di osservare più attentamente le immagini dell’epoca, visto che il contesto documentaristico può generare noia.
La parte emozionante della mostra inizia in alcune sale successive dedicate alla Seconda Guerra Mondiale, con le magnifiche immagini di guerra dei grandi della fotografia.
La Guerra Civile Spagnola rappresentata dalle iconiche immagini di Robert Capa, con la conosciutissima “La morte del miliziano” e “La miliziana che si addestra” di Gerda Taro, entrambi morti in epoche diverse per mano della guerra, ma che con il loro grande coraggio e la loro enorme caparbietà hanno lasciato alla fotografia un vasto testamento di importanti immagini. Nella stessa sezione l’appassionante documentario in visione di Cartier-Bresson “Le Retour”, una inattesa testimonianza della passione civile del fotografo francese.
Tra le opere esposte, quattordici scatti di August Sander omaggio a Colonia (Germania) prima e dopo la disfatta, soprattutto di molti luoghi sacri della città. Le immagini della popolazione locale sfiancata dalle privazioni in “Inverno della fame ad Amsterdam” della fotografa olandese Emmy Andriesse. L’inconfondibile fotografie di Henri Cartier – Bresson con la liberazione di Dessau, tra i campi profughi e la disinfestazione delle persone con il DDT. Le commoventi immagini di Ernst Haas su Vienna con il rientro a casa dei prigionieri del 1948.
Ernst Haas, Vienna 1946-48 Museum der Moderne di Salisburgo
Le foto di Eugene Smith sulla Guerra nel Pacifico. La foto iconica dell’ucraino Eugenyi Chaldey, fotografo ufficiale dell’Armata Rossa tra il 1941 ed il 1946, con l’innalzamento della bandiera rossa sul Reichstag a Berlino. Le drammatiche immagini di Dresda, città distrutta dai bombardamenti inglesi, di Hiroshima e del Giappone che cerca di risollevarsi dopo la sconfitta e le distruzioni, nelle fotografie inedite per l’Italia di Tadahiko Hayashi. Un’intera parete di funghi atomici, per non dimenticare come il rischio e il pericolo della guerra sia continuato ben oltre il 1945, con la sperimentazione: dimostrazione che la minaccia dell’atomica è ancora oggi pretesa di potere governativo.
La mostra prosegue, nella sesta sala, con i ritratti di donne locali dell’Algeria (1954 – 1962) di Marc Garanger: sottosposte a fotografie identificative con l’obbligo di rivelarsi senza i loro tipici copricapi. Un gesto di violenza da parte dell’occupatore, una sottomissione cui Garanger, consapevole, riesce a riprenderne la profondità, volti e sguardi che narrano come la guerra incide in maniera profonda sull’essere umano. Nella stessa sala la Guerra del Vietnam, forse una delle più fotografate di sempre, con tre grandi serie, tra cui quelle dei soldati americani sul fronte di Don Mc Cullin, quelle dei soldati americani in addestramento a casa di Eve Arnold, e quelle drammatiche di Philip Jones Griffithssulle conseguenze della popolazione civile, e sugli stessi militari, della guerra.
VIETNAM. 1967. Quang Ngai. This was a village a few miles from My Lai. © Philip Jones Griffiths
Queste sezioni sono le più interessanti e le più emotivamente toccanti della mostra: la violenza della guerra che si abbatte sull’uomo e la reazione dello stesso, testimonianza di una fotografia dettata non solo dall’intento di denunciare ma sopratutto dalla capacità umana di comunicare la disfatta dell’uomo sull’uomo.
Le ultime sale, con la responsabilità di mostrare le guerre contemporanee, lasciano un pò perplessi sulla scelta delle immagini. Progetti fotografici, superificiali e ambigui dal punto di vista del messaggio – eccetto “Beirut” di Gabrilele Basilico.
Gabriele Basilico, Beirut 1991
Come quelle che riportano alle guerre dei balcani di Gilles Peress e Ziyah Gafic. La guerra del Congo, ancora in corso di Luc Delahaye: alcune gigantografie di immagini prese all’infrarosso che documentano un paesaggio rosso (forse rappresentante il sangue?) tra popolazione locale e soldati.
Oppure il progetto di Mishka Henner: 51 basi americani presenti nel mondo riportate fedelmente grazie alla fotografia satellitare, e distese su una grande vetrina a disposizione del visitatore.
Mishka Henner: Navy Expeditionary Guard Battalion, Camp Delta, Guantanamo Bay, Cuba, 2010_©Mishka Henner, 2014, Courtesy Bruce Silverstein Gallery, New York
E ancora, le gigantografie di Boris Mikhailov, con la guerra ucraina, lasciano un pò dubbiosi sul messaggio che si dovrebbe percepire.
In conclusione, una mostra a mio parere, non del tutto soddisfacente. Soprattutto nelle ultime sale: progetti con immagini forse assenti o semplicemente l’ambiguità nei messaggi, non danno modo al visitatore pagante e non esperto di fotografia, di poter concepire la fotografia come forte strumento forte di comunicazione, confermando il “consumismo” dell’immagine in questa nostra epoca.